Nel nostro dna c’è l’idea che la tecnologia da sola non sia sufficiente. Solo quando si sposa alle discipline umanistiche riesce a produrre risultati che fanno vibrare il cuore.
Steve Jobs, 2010
Come creative digital thinkers, oggi non potevamo non ricordare con un post la grandezza di un uomo che ha cambiato il modo di vivere il mondo. E vorremo farlo con la citazione qui sopra, che ci suggerisce di ricordare Steve Jobs non tanto quanto innovatore tecnologico (chi conosce la sua biografia sa che in realtà era un pessimo ingegnere) ma piuttosto come il più grande umanista a cavallo fra i due secoli. E non stiamo esagerando.
Oggi forse facciamo fatica a ricordarlo, ma a metà degli anni ’80 (quando Apple era ancora agli esordi, Pixar e Wired non esistevano e le dotcom erano solo un bel sogno) esisteva un confine invalicabile fra tecnologia ed umanesimo, fra bit e creatività. Da una parte c’erano i “nerd”, per cui parlare di computer era l’unico orizzonte quotidiano e dall’altra c’era la diffidenza un po’ snobistica del mondo intellettuale e culturale nei confronti delle nuove tecnologie: lavorare a un terminale per un qualsiasi creativo era la morte della propria creatività, una gabbia grigia ed alienante da cui stare lontani. Nessuno avrebbe mai pensato che due strade così diverse si potessero incrociare.
Poi è arrivato Steve Jobs. Che ha dimostrato che alla tecnologia si può unire la stessa ispirazione semantica di una poesia. Che ha concepito il computer come opera d’arte, i fonts come quadri, lo spazio digitale come un piccolo museo da andare a visitare ogni tanto. Ecco, al bivio fra tecnologia ed umanesimo, Jobs scelse la multidisciplinarità e il “pensare di traverso”. Ha concepito l’esperienza tecnologica come un’esperienza emotiva, la stessa che si prova ascoltando una canzone, leggendo un libro o guardando un film. Tanto che dei suoi dipendenti, diceva: “sono solo poeti e filosofi che nel tempo libero hanno deciso di dedicarsi all’informatica”. Questa è la sua più grande intuizione, quella che oggi ha reso Apple l’azienda che conosciamo e quella che permette a un’intera generazione di creativi digitali di farsi strada nel crocevia di quei due mondi che oggi sono ancora più vicini, sempre più inclusi l’uno nell’altro.
Ecco, più di ogni altra cosa, prodotto, o invenzione rivoluzionaria, i dunters ci tengono a dire che l’eredità più grande che ci ha lasciato Steve Jobs è la consapevolezza che le dimensioni più affascinanti della cultura del genere umano nascono dalla contaminazione delle discipline e non dalla loro purezza. Quel menage a trois fra filosofia, umanesimo e scienza, che Italo Calvino aveva intravisto nelle sue Lezioni Americane, con Steve Jobs è stato un futuro diventato realtà. E noi oggi, quotidianamente, da buoni creativi digitali, continuamo ad esplorarlo e a scoprine nuove potenzialità, provando a sorprendere e a sorprenderci. Eppure se non fosse esistito quel “folle ed affamato” iCEO, probabilmente non saremmo esistiti nemmeno noi.