2ManyDjs, costola dei Soulwax, è il nome del progetto parallelo dei fratelli Dewaele, ormai da parecchi anni alla ribalta sulle scene della musica elettronica mondiale. “Troppi dj”, questo il significato del loro nome. Un nome che, all’attuale stato dell’arte, in cui la tecnologia permette a tutti (o quasi) di improvvisarsi disc-jockey, fa parecchio pensare…
Sì, perché non si tratta tanto di mere disquisizioni sulle peculiarità del suono del vinile rispetto al cd o alla musica in formato digitale (ad esempio mp3): indubbiamente il vinile ha un suono particolare, più “vero”, eppure la qualità degli ultimi formati digitali è palesemente superiore. Ma il punto non è se sia la puntina di un giradischi, il laser di un lettore cd oppure il “chi-lo-sa-che-cosa” che legge un mp3 a riprodurre la propria musica.
La questione si snoda piuttosto sulle modalità con cui, nel giro di brevissimo tempo, le nuove tecnologie abbiano modificato profondamente (e spudoratamente) il ruolo e la performance del cosiddetto disc-jockey: letteralmente il “fantino del disco“.
Se infatti la figura del disc-jockey si può far risalire addirittura alla Francia del dominio nazista o ai primi pionieristici esperimenti radiofonici, il termine viene coniato negli Stati Uniti a metà degli anni ’60 e il suo ruolo acquisisce sempre maggior rilevanza con l’avvento della Disco Music negli anni ’70. È tuttavia nel decennio seguente che il DJ si definisce e sviluppa con la nascita del turntablism (e delle sue tecniche, su tutte lo scratch), l’utilizzo dei canonici 2 giradischi+1 mixer e l’introduzione del mixaggio in battuta (tecnica che consiste nel far combaciare perfettamente le battute di tempo di due dischi in sincronia). Tutto questo, insieme alla nascita dell’House Music e la sua espansione a livello europeo, crearono i presupposti per il fenomeno del clubbing, tipico degli anni ’90.
Poi, all’improvviso, succede qualcosa: i cd ed i masterizzatori prima, potenze di calcolo sempre maggiori e dischi di memoria sempre più capienti associati a software di home editing e sequencing di potenza inaudita, poi. E tutto viene rapidamente stravolto.
Storicamente i punti di forza di un Dj erano, principalmente, i suoi dischi e il modo in cui li sapeva proporre dalla consolle (la sequenza ed i mixaggi da un pezzo all’altro). La cosiddetta “valigetta” coi vinili, 30/40/50 dischi al massimo (Maxi-Single o Mix generalmente contenti dalle 2 alle 5 tracce ciascuno, spesso differenti versioni dello stesso pezzo), e quello era tutto. E doveva bastare. Ora invece, potenzialmente, un dj può portare con sé decine di migliaia di tracce in formato digitale. Uno sproposito quasi controproducente, a tutti gli effetti.
E poi c’era la reperibilità (e il costo) dei vinili: ogni dj era profondamente “geloso” dei propri dischi (al punto da coprirne le etichette per non farle vedere agli altri dj), pezzi a volte rari prodotti in poche centinaia di copie, dischi di importazione provenienti da Londra, Chicago o Detroit, dj promo, limited editions, white label e chi più ne ha più ne metta. Pezzi che si giungeva a sentire come “propri”, praticamente unici in un dato contesto, scoperte entusiasmanti, amori sbocciati in qualche buio negozietto di periferia e custoditi con cura nelle proprie valigette. Perché, comunque, il disco era qualcosa di reale: lo toccavi, lo sentivi, lo vedevi, lo suonavi e non lo prestavi a nessuno. Oggi invece, grazie al (o a causa del) web, tutto è potenzialmente alla portata di tutti. Tutto. Anche per via della pirateria e dei download illegali, non possiamo certo ignorarlo. Ti piace un pezzo? Trovare autore e titolo è un gioco da ragazzi, e con un clic è tuo (anche legalmente, intendiamoci). Forse la difficoltà sta nella scelta in un panorama così ampio. Forse. Ma quel rapporto, quasi affettivo, che si creava tra te e il disco non esiste più. E temo non esisterà mai più.
È di questi giorni, a proposito, la notizia della messa fuori produzione da parte della Panasonic degli storici giradischi Technics SL-1200, una vera icona sacra per il mondo del djing. Un pezzo di storia che se ne va.
L’utilizzo dei lettori cd per mixare e, ancor più, dei controller midi, con le loro funzioni digitali (come loop, auto-sync e master-tempo) hanno reso il mixaggio più semplice, rapido, agevole e preciso. Insomma, è difficile sbagliare. Con i dischi ed i piatti, beh, è inutile che stia ad entrare in tediosi dettagli tecnici, ma era un’altra storia.
Questo ha “liberato” i nuovi paladini della consolle da numerose e complicate incombenze che riguardavano il mixaggio, permettendogli di dare spazio alla fantasia con l’utilizzo di più deck in contemporeanea, con l’effettistica e con l’utilizzo di strumentazioni supplementari come sequencer live e drum machine. Il “compitino” di suonare un pezzo dopo l’altro non basta più. E questo, sovente, ha anche fatto sì che la parte, per così dire, coreografica dello spettacolo prendesse in qualche modo il sopravvento su quella sonora, come possiamo apprezzare in numerose formazioni di djs gesticolanti e/o ballerini, meglio ancora se mascherati. Un cliché che, nei tempi più recenti, si è ripetuto quasi fino alla noia. Va tuttavia ammesso che l’impatto visivo e la capacità di coinvolgimento del dj-set ne hanno spesso giovato, dando vita a performance di rara potenza scenica.
Insomma, tutto è profondamente e inevitabilmente mutato e, a mio parere, non è certo utilizzando vinili time-code o coltivando il culto dell’old-skool che si potrà ricreare il fascino di ciò che è stato. Forse questo è semplicemente il prezzo che dobbiamo pagare per i progressi tecnologici che, del resto, hanno permesso a molte più persone di avvicinarsi a questo mondo e di poter dire la loro, rendendo molto più accessibile ciò che prima era riservato a pochi eletti e spalancando letteralmente orizzonti musicali prima assai ristretti. Un’operazione che toglie sì da un lato, ma aggiunge dall’altro.
Il risultato? Too many djs…