Com’è andato il primo #MuseumInstaSwap italiano a Torino

Com’è andato il primo #MuseumInstaSwap italiano a Torino

“È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.
Anche se può sembrarvi sciocco o assurdo, ci dovete provare”.
John Keating (Robin Williams), in L’attimo fuggente, 1989

Ne avevamo già parlato in passato del #museuminstaswap: prima raccontando l’esperienza di New York, poi annunciando con entusiasmo il primo evento in Italia che siamo riusciti ad organizzare insieme agli amici de La Venaria Reale. Proprio ieri, martedì 12 aprile, è stato il grande giorno: 14 musei di Torino (prima città italiana a farsi carico di questa iniziativa, a pochi giorni dalla sua nomina a vice-capitale europea dell’innovazione e della ricerca) hanno dato vita al primo #museuminstaswap italiano. Un vero e proprio gemellaggio fra istituzioni culturali che si sono raccontate a vicenda su Instagram, incrociando patrimoni artistici, sensibilità, sguardi e punti di vista.

Alcune immagini tratte dal #museuminstaswap di martedì 12 aprile. Per tutto il flusso, qui.

Raccontare gli altri per scoprire se stessi

Ad un primo impatto il flusso dello swap fra musei impressiona per lo sforzo creativo nello storytelling reciproco: i musei torinesi hanno utilizzato molteplici chiavi di lettura per raccontare i patrimoni artistici, le architetture, la storia e l’immaginario culturale dei loro “partner”. C’è chi ha scoperto che i punti in comune sono molto di più di quelli che si potevano immaginare: come il Museo d’Arte Orientale che scopre l’amore per l’oriente negli arredamenti dei Musei Reali oppure il Museo dell’Auto che racconta di come ha condiviso perfino un allestitore con il Museo Nazionale del Cinema. E se pensate che la scoperta di certe somiglianze fosse scontata, provate a leggere le interessanti suggestioni che hanno unito due musei temporalmente davvero “lontani” come il Museo Egizio (archeologia) e il Museo Ettore Fico (arte moderna e contemporanea). Più di ogni altra cosa il #museuminstaswap ha dimostrato che lo scambio culturale ed artistico è sempre un fattore di crescita e di arricchimento anche fra realtà molto diverse fra loro.

Qualche numero

Schermata 2016-04-12 alle 10.24.19I musei di Torino coinvolti su Instagram sono stati 14 con una platea di 53.522 followers. In totale sono stati 19 gli user che hanno postato contenuti sul flusso dell’hashtag (come il quotidiano La Stampa, che ha ri-postato alcuni scatti). I post pubblicati sono stati più di 120, e hanno generato 5.600 mi piace con le varie community (una media di 44 likes a foto), con una portata potenziale di 350mila utenti di Instagram.  Ma l’eco del #museuminstaswap non si è però limitato ad Instagram, dimostrazione della tanta curiosità che è nata intorno all’evento: già dalla mattina è stato registrato un trend sorprendente su Twitter, dove l’hashtag #museuminstaswap è entrato per qualche ora nei primi 10 trending topics fino a raggiungere il quarto posto. Sulla città di Torino #museuminstaswap è rimasto per quasi tutta la giornata al primo posto.

Cosa dicono gli swappati

Ma com’è stata l’esperienza dello swap per chi lo ha vissuto dall’interno? Abbiamo provato a chiederlo a Matteo Fagiano e Silvio Salvo, i due responsabili digitali rispettivamente de La Venaria Reale e della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: da una parte una residenza reale con un grande patrimonio storico ed architettonico, dall’altra un museo di arte contemporanea.

Cosa avete pensato quando al sorteggio siete stati scelti come coppia di musei gemellati?

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Matteo Fagiano

Matteo Fagiano: Sono stato contento e soddisfatto. Speravo che la Reggia potesse confrontarsi con una realtà diversa, lontana dalle sue coordinate specifiche. Volevo che si innescasse un corto circuito di contenuti e di immagini. In questo senso l’abbinamento con la Fondazione Sandretto è stato perfetto.
Silvio Salvo: Ho pensato che avrei dovuto cancellare vecchie foto che occupavano la memoria del mio smartphone e che mi sarei dovuto ricordare di portare il carica batteria. Alla Reggia di Venaria tutto è fotogenico: dalle stanze agli oggetti, dalle opere d’arte ai fili dell’erba del Giardino.

Come avete affrontato lo swap fra le vostre due realtà culturali e qual’è stata la parte più difficile?

Matteo Fagiano: Ci siamo ospitati per un giorno, accompagnandoci in visita alle nostre sedi, condividendo pensieri e suggestioni. Abbiamo raccolto materiale: foto, appunti, annotazioni su analogie, similitudine, differenza tra le due realtà. Soprattutto ci siamo lasciati ispirare. È stato facile lavorare insieme, abbiamo trovato subito una bella sintonia e la stessa passione. La parte più complessa, ma anche la più stimolante, è stata sicuramente la fase di ricomposizione di quanto raccolto: raccontare una realtà diversa mantenendo il proprio mood narrativo è una bella sfida.

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Silvio Salvo

Silvio Salvo: La parte più difficile: il profilo Instagram della Reggia di Venaria. Un profilo seguitissimo e con foto a cui viene automatico mettere il cuoricino.Una settimana prima della “gita fuori porta” ho pensato: 1) i nostri follower saranno felici di vedere le foto della RdV, 2) probabilmente i nostri follower conoscono già molto bene la RdV 3) sicuramente i nostri follower hanno scattato o scatteranno foto migliori delle mie alla RdV. Coinvolgendo Francesca Togni (Responsabile Progetti Educativi e molto seguita su Instagram) un problema era risolto. Poi ho pensato a come “Sandrettizzare” la RdV e a come evitare l’effetto “dèjà vu”. Un filtro ad hoc (realizzato con un A3 e un paio di forbici) e due personaggi che i follower della FSRR conoscono bene (il Maestro Yoda e il Cavaliere Oscuro) hanno fatto il resto.

Dopo questa esperienza pensate al vostro museo allo stesso modo di prima o il vostro punto di vista si è arricchito di nuove suggestioni?

Matteo Fagiano: Il confronto e lo scambio sono sempre occasioni eccezionali per crescere e allargare le prospettive. Per chi fa il nostro lavoro è importante cimentarsi con linguaggi e approcci diversi, mettersi alla prova, non fermarsi mai. Questa esperienza mi ha sicuramente permesso di tornare a guardare al mio museo con uno sguardo diverso, più ricco e articolato.
Silvio Salvo: Come forse tutti sanno, la FSRR ospita sempre mostre temporanee. Non avendo una collezione permanente, ogni 3-4 mesi devo “relazionarmi” con opere diverse. Accompagnare il SMM della RdV nelle sale della FSRR mi ha permesso di scoprire dettagli delle opere in mostra che a me erano sfuggiti. Se nei prossimi giorni ci sarà un post dedicato all’Ikea, il merito è tutto suo.

#EmptyReggia: La Venaria Reale come non l’avete mai vista

#EmptyReggia: La Venaria Reale come non l’avete mai vista

Un mese fa avevamo pubblicato su questo blog un post dove raccontavamo la straordinaria capacità del movimento #empty di immortalare con scatti su Instagram i musei chiusi al pubblico: un’idea di visita digitale dei musei del fotografo di Brooklyn Dave Krugman, che in poco tempo è stata realizzata in diversi spazi culturali in tutto il mondo, dal Metropolitan Museum di New York alla Tate Modern di Londra. Visto il successo che aveva riscosso il nostro post e l’immaginario che apriva, abbiamo pensato che fosse giunto il momento di organizzare un evento simile anche in Italia: e quale miglior luogo se non l’incredibile scenografia offerta dalla Reggia di Venaria che era ancora chiusa al pubblico per la pausa invernale?


Le regole per organizzare un evento #empty
Abbiamo iniziato a pensare all’evento coinvolgendo gli Igers Torino e gli Igers Piemonte, le community degli appassionati di fotografia mobile di Torino e del Piemonte che sono stati fin da subito entusiasti di fare parte di un’esperienza irripetibile. Insieme a loro, e grazie anche ai preziosi suggerimenti dello stesso Krugman, abbiamo stabilito alcune regole per realizzare l’evento nel miglior modo possibile con la Reggia di Venaria completamente vuota:

– Un massimo di otto Igers per non rendere troppo “ingombrante” il gruppo di persone;
– Un massimo di tre ore di “cattura” della Reggia di Venaria;
– L’uso dell’hahstag #emptyReggia per le foto pubblicate su Instagram.

L’obbiettivo è stato quello di concedere la massima libertà creativa agli igers, che hanno avuto la possibilità giocare con la luce, l’architettura e le meravigliose prospettive offerte dalla Reggia e suoi giardini. E il risultato è stato a dir poco incredibile.


Per approfondire l’esperienza di #emptyreggia, abbiamo chiesto ai partecipanti di raccontarci cosa hanno provato, ma anche che significato può avere un evento del genere per un’istituzione museale e perché è valsa la pena renderla possibile. Abbiamo intervistato Valentina Rossetti, una delle Igers che ha sabato scorso ha immortalato la Reggia a porte chiuse e Matteo Fagiano dell’ufficio Stampa e Relazioni esterne La Venaria Reale.

Intervista a Valentina Rossetti, Local Manager Igers Torino

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Valentina Rossetti

Otto membri delle vostre community di igers torinesi e piemontesi sono stati chiamati per raccontare la Reggia di Venaria in modo unico ed esclusivo. Vi era mai capitato di partecipare ad un evento del genere? Come vi siete coordinati fra di voi per realizzarlo al meglio?
Il rapporto tra musei e community di Instagramers locali si è consolidato nel tempo grazie a diverse attività. Esempi sono: la visita #warholmilano della community meneghina che ha potuto raccontare la mostra di Andy Warhol a Palazzo Reale o l’attività #CupForFund di Instagramers Torino a Palazzo Madama. E’ però la prima volta che una struttura viene aperta esclusivamente per 8 Igers. Questo è stato un grande privilegio per noi. Abbiamo quindi sfruttato questa opportunità per selezionare alcuni tra gli Igers più creativi e seguiti su territorio piemontese e radunarli per raccontare al meglio questa esperienza.

Qual’è la differenza fra fotografare un museo aperto al pubblico e uno che invece è stato aperto esclusivamente per te e per pochi altri intimi? Che grado di libertà creativa si può raggiungere attraversandolo in questo modo?
La differenza è abissale. Un museo aperto al pubblico, soprattutto durante i weekend, non consente quella libertà creativa che si ha visitando un museo a porte chiuse. Ancor di più nel caso di una location come la Reggia di Venaria, che ha spazi molto ampi e suggestivi, essere soli significa potersi prendere tutto lo spazio necessario per produrre scatti senza “imprevisti umani” e il tempo per spingersi verso composizioni meno convenzionali. Abbiamo avuto la possibilità di vivere il luogo in modo più intimo, perché lo abbiamo vissuto in tranquillità, ci siamo appropriati dello spazio sperimentando scatti diversi e così facendo abbiamo creato qualcosa di nuovo da immortalare attraverso la lente del nostro smartphone. Insomma, quante volte può capitare nella vita di potersi sdraiare a terra in una sala della Reggia di Venaria e rimanerci tutto il tempo necessario perché lo scatto sia fatto come lo esige l’autore?


Quali sono i luoghi e gli spazi completamenti vuoti de La Venaria Reale che vi hanno più impressionato?
I giardini esterni ci hanno impegnato per la maggior parte del tempo. Nonostante fosse pieno inverno, la magia di quel luogo così esteso e solitario, immerso in un contesto verdeggiante da cui è possibile vedere le montagne ci ha colpito così tanto da esigere un’ora buona di scatti. L’altra grande tappa, che ci ha lasciato letteralmente senza fiato, è rappresentata sicuramente dalla Galleria Grande. La sua bellezza ci ha inizialmente intimiditi, lasciandoci sulla porta ad ammirarla, quasi avessimo paura di calpestarla. Il tempo a nostra disposizione e la tranquillità data dall’essere soli ci hanno permesso di prendere confidenza con il luogo e produrre alcuni dei migliori scatti della giornata.


Che feedback hanno ricevuto i vostri scatti #emptyreggia postati su Instagram?
Sono stati un vero successo. A parte i tanti apprezzamenti da parte dell’intera community di Instagramers, abbiamo ricevuto i complimenti da parte di Dave Krugman, fondatore di #EmptyMuseum. Alcuni dei nostri scatti sono stati inoltre selezionati da numerosi account community che “premiano” giornalmente gli scatti più belli di Instagram a livello internazionale.

In generale, come avete vissuto questa esperienza? Sareste disponibili a ripeterla in altri musei italiani?
E’ stata un’ esperienza assolutamente positiva e stimolante, che ci ha motivato a pensare altre attività con questo approccio. Ci piacerebbe perciò partecipare in futuro ad altri progetti che prevedano la fruizione a porte chiuse di un luogo di cultura coinvolgendo, perché no, una gruppo più allargato della community Instagramers Piemonte.


Intervista a Matteo Fagiano, Ufficio Stampa e Relazioni esterne La Venaria Reale.

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Matteo Fagiano

La Reggia di Venaria è stato il primo museo in Italia ad ospitare un evento #empty. Cos’è che vi ha spinto ad aderire subito a questa iniziativa?
L’entusiasmo per un progetto davvero affascinante e la consapevolezza degli straordinari spunti che Instagram offre dal punto di vista dell’originalità e della viralità dei contenuti.

La Reggia è uno dei luoghi più visitati d’Italia, nell’ultimo periodo di apertura ha registrato più di 155 mila visitatori. Che effetto fa aprirla durante la pausa invernale per un gruppo di sole otto persone?
È stata un’esperienza particolare: la condivisione di un privilegio del quale, noi che abbiamo la fortuna di lavorarci, possiamo godere in ogni momento dell’anno. Muoversi per le sale e i Giardini della Reggia quando sono chiuse al pubblico è qualcosa di magico.

Tu hai accompagnato gli igers durante il percorso di visita. Come hanno reagito a gironzolare per una Reggia tutta per loro? Che differenza hai notato rispetto ai normali visitatori?
La soggezione iniziale, quasi una sorta di rispetto reverenziale, ha lasciato presto spazio alla voglia di divertirsi e di stupire. Li ho visti prendere confidenza con gli ambienti e lasciarsi guidare volta per volta dalle suggestioni del momento. Soprattutto mi ha stupito come non si siano limitati a ritrarre la Reggia vuota, ma abbiano cercato, quasi come se ne sentissero l’urgenza, di riempirla con il loro estro e la loro creatività.


Quali sono le caratteristiche estetiche della Reggia di Venaria che secondo te sono state più valorizzate da #emptyreggia?
La luce e le ombre, i riflessi, gli assi prospettici, le sfumature cromatiche. E più di ogni cosa la sua incredibile versatilità: la Reggia riesce ad essere sempre bellissima, che sia ritratta in un dipinto del Seicento o in una foto su Instagram.

Come si inserisce un evento del genere nella visione più generale della Reggia di Venaria di raccontare e farsi raccontare attraverso i nuovi media e le nuove tecnologie?
La Venaria Reale è un bene di tutti, vogliamo condividerla con più persone possibile e con ogni mezzo a disposizione. I social media ci danno l’opportunità di raggiungere luoghi lontani e pubblici diversi. Ci crediamo molto e i risultati di un evento come questo ci confermano che stiamo andando nella giusta direzione.

Gli Hangouts On Air per un museo espanso e partecipativo

Gli Hangouts On Air per un museo espanso e partecipativo

In un bel libro di Roberto Peregalli, “I luoghi e la polvere” (edito da Bompiani), a un certo punto l’autore scrive: “il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e fecondo”. La vera sfida per i musei di oggi è in effetti quella di presentarsi come luoghi in cui la tradizionale visita sia capace di generare dialogo ed apprendimento. Il museo non solo come vetrina ma, in un’ottica di rinnovamento dei processi di accesso alla cultura, anche come punto d’incontro e conversazione, capace di coinvolgere il pubblico attraverso nuovi strumenti di socializzazione a disposizione in rete. Uno di questi, senza dubbio, è l’Hangout On Air di Google: questo servizio permette di ripensare la comunicazione e la collaborazione online, aprendo nuovi scenari anche (e soprattutto) per le istituzioni museali. Si tratta a tutti gli effetti di ripensare lo spazio culturale come luogo di capace di incontrare e parlare con il visitatore oltre le proprie mura: un modo innovativo di costruire un vero e proprio “museo espanso”.

Gli Hangouts On Air: cosa sono e come funzionano
L’Hangout è un videoritrovo virtuale basato sulla videochiamata fra più utenti di Google Plus, utile per discutere face-to-face con un massimo di 10 persone. Un Hangout on Air (Hangout in diretta), differisce dal semplice Hangout perché è trasmesso pubblicamente ed aperto a tutti, non solo a quelli che intervengono all’interno della videochiamata: proprio per questo il flusso video della chiamata è pubblicato anche sul canale YouTube, collegato al profilo o alla pagina Google Plus dal quale viene attivato. Tutti possono effettuare un Hangout on Air, basta avere una buona connessione, una webcam e un profilo o pagina Google Plus collegata ad un canale Youtube. Inoltre una serie di estensioni interne al servizio permettono di rendere l’esperienza più interattiva, come ad esempio la possibilità di consentire agli spettatori di commentare e/o inviare domande agli interlocutori.

Gli Hangouts On Air per l’insegnamento e l’educazione all’arte
Un primo uso interessante di hangouts On air è ad esempio connettere i servizi educativi dei musei con i visitatori. In questo senso il MoMa ha proposto un format didattico, gli #ArtHang, per far conversare esperti d’arte con la propria community, coinvolgendo gli utenti in vere e proprie “classi virtuali”.

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La sfida è quella avvicinare gli educatori dei musei ad un pubblico, quello di chi vuole approfondire alcuni aspetti del mondo dell’arte, spesso troppo difficile da intercettare (a causa anche semplicemente di problemi logistici). Gli Hangouts in diretta consentono invece di raggiungere chiunque abbia voglia di imparare senza limiti di numero o di fuso orario e il sistema di archiviazione su Youtube permette di collezionare una serie di video sempre fruibili in ogni momento, anche successivamente alla lezione live.

Il museo si fa intrattenitore: l’esempio del Tate
Oltre ad appuntamenti dedicati alla didattica e alla formazione, grazie agli hangout on Air, un museo può anche però proporsi come polo attrattivo per promuovere conversazioni digitali su temi più generali dove l’istituzione museale si confronta con altre culture, coinvolgendo giornalisti, blogger ed opinion leader.

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Il Tate ad esempio ha lanciato una serie di appuntamenti mensili alternando per ogni appuntamento un diverso interlocutore: “La musica incontra l’arte”, “La moda incontra l’arte”, “La fotografia incontra l’arte” e così via.

Raccontare le mostre in diretta streaming
Ma il servizio di Hangout on Air può diventare anche un’occasione per accompagnare il visitatore in un tour (in questo caso virtuale) per conoscere una nuova mostra del Museo. Ad esempio, il Nasher Museum di Durham ha utilizzato Hangout on Air per presentare dei pezzi forti di una mostra su Mirò, con il curatore che ha approfondito alcune opere direttamente in diretta streaming.

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Utilizzando le apps integrate agli Hangouts che permettono l’interazione di utenti durante lo streaming, è stato possibile anche inviare domande in tempo reale al curatore durante la sua presentazione.

Promuovere le tavole rotonde fra i musei
Un altro uso interessante degli Hangouts On Air è quello di consentire un dialogo trasparente e collaborativo fra i musei su problemi comuni o su tematiche che necessitano un dibattito fra più attori.

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La National Art Education Association (NAEA) ad esempio si è fatta promotrice di un format, il “Peer2Peer”, per far dialogare alcune organizzazioni museali in un confronto pubblico ed aperto agli utenti della Rete.

Connettere artisti e pubblico
Non mancano poi esempi veramente innovativi nell’utilizzo di hangout on-air, soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra artisti e pubblico: in questi casi il servizio di live streaming apre nuove possibilità di conversazione connettendo l’utente direttamente con l’autore di un’opera d’arte.

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In alcuni casi, come nella performance in live streaming dell’artista Autumn Ahn, l’utente attraverso Hangout on Air è stato coinvolto nella “genesi” stessa di un’opera d’arte, diventando parte dell’installazione.

Il movimento #Empty su Instagram: la bellezza dei musei catturata a porte chiuse

Il movimento #Empty su Instagram: la bellezza dei musei catturata a porte chiuse

C’è una scena ne “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino in cui il duo Servillo-Ferilli (alias Jep-Ramona) passeggia da solo di notte per la Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma: è un momento magnifico e surreale, dove l’arte è colta in una dimensione atipica, tutt’altro che “da cartolina”. Come per dire che la bellezza a volte è di chi sa raccontarla sapendosi immergere nei suoi silenzi. Magari per distaccarsi al momento giusto, un attimo prima di esserne travolti.
Ecco, cogliere il fascino e l’emozione dei musei e delle loro opere d’arte durante l’orario di chiusura al pubblico è proprio la sfida lanciata dal movimento #empty (alla lettera, “vuoto”). Attraverso l’uso di uno smartphone e di Instagram, un gruppo di utenti creativi decide di raccontare l’emozione che si prova ad attraversare i musei (ma in generale gli spazi culturali) svuotati dalla presenza dei visitatori.

#EmpyMET
Il progetto è nato da un’idea dell’instagramer statunitense Dave Krugman che nel 2013 riesce a farsi dare il permesso dal Metropolitan Museum di New York di accedere al palazzo dopo l’orario di chiusura. Krugman coglie l’occasione al volo: invita altri instagramers e insieme iniziano a scattare fotografie (e a condividerle in rete) alle stanze deserte del Met.

Alcune delle fotografie scattate per #EmptyMET

I risultati sono sorprendenti: le opere d’arte di uno dei più importanti Musei del mondo sono catturate nella loro solitudine, immerse in ambienti completamente vuoti. La prima cosa che ci viene in mente guardando alcune foto è che l’immagine dell’architettura deserta del museo ha qualcosa di non comune e di esclusivo, come se diventasse essa stessa (nuova) Opera d’Arte.

#EmptyROH ed #EmptyTate
Non ci vuole molto che il successo di #emptyMET travalica i confini degli Stati Uniti e arriva all’attenzione di Dolly Brown, instagramer londinese. Nel settembre 2014 è lei ad ospitare il movimento #empty e lo fa – niente poco di meno che – alla Royal Opera House di Londra, forse il più prestigioso Teatro d’opera al mondo. Insieme ad altri 10 Instagramers Brown lancia l’evento #emptyROH una mattina del settembre 2014. Trattandosi di un teatro e non di un museo questa volta il racconto attraverso Instagram diventa un modo per scoprire il “dietro alle quinte”.

Gli scatti per #EmptyROH

L’esperienza, racconterà poi Brown, è unica: “Abbiamo visto i costumi di Manon, i fiori di ciliegio negli oggetti di scena di Madame Butterfly ed assistito alla classe di danza mattutina del Royal Ballet, qualcosa di veramente esclusivo”. Sempre Brown è la promotrice, appena un mese dopo, di un evento #emptyTate alla Tate Modern.

Libertà creativa, promozione ed accessibilità
Analizzandolo più in profondità, il successo del movimento #empty si può spiegare nella capacità di unire in un’unica esperienza tre esigenze.
La prima è quella degli instagramers che possono usufruire di un momento unico ed esclusivo, quello di attraversare dei musei senza visitatori: “quando in uno spazio è occupato da una folla di persone spesso la bellezza della sua architettura tende a passare in secondo piano” racconta Brown – “da soli invece si può sperimentare un senso di libertà creativa mai provato prima”.

Gli scatti per #EmptyTate

La seconda esigenza è quella dell’istituzione museale/culturale che vede promuoversi in modo praticamente gratuito e decisamente non convenzionale in rete, offrendo al pubblico un immaginario unico del suo patrimonio architettonico ed artistico e guadagnandone in visibilità. Ad esempio con #emptyMET il museo newyorkese ha quasi raddoppiato in poche ore i suoi followers su Instagram.
La terza esigenza infine riguarda una nuova forma di accessibilità digitale: contribuisce – attraverso l’uso intelligente dei social media – a connettere il patrimonio culturale con un pubblico giovane, nativo digitale e spesso lontano dal vivere in modo quotidiano i musei e gli spazi culturali. In questo senso di “vuoto” il movimento #empty sembra avere solo il nome: in realtà un “vuoto” sa riempirlo, e in modo decisamente innovativo.

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