Se pensiamo alla figura professionale del graphic designer è pressochè impossibile scinderla dal computer in quanto strumento principale del suo lavoro, anzi, possiamo affermare che praticamente ci dorma assieme. Dall’impaginazione al fotoritocco, dall’illustrazione alla tipografia, le lavorazioni riguardanti la produzione grafica riguardano, per la maggior parte, l’ambito digitale anche quando il punto di partenza è analogico.
L’utilizzo del computer nel lavoro del graphic designer gli ha permesso di diventare più rapido, di avere a disposizione funzioni automatiche più precise: comporre un testo, giustificarlo in un colpo solo, annullare un errore con ctrl+Z (o cmd+Z, a seconda della propria fede) sono solo alcune delle migliaia di azioni che il designer può svolgere in meno di un secondo.
Ma che cosa ne era della progettazione grafica prima dell’avvento dei computer e prima che Adobe arrivasse a salvarci tutti (o forse no)? Comporre un layout utizzando forbici e colla, riusciamo ancora ad immaginarlo?
Per rispondere a queste domande Briar Levit, graphic designer americana e assistente alla docenza alla Portland State University, ha deciso di realizzare Graphic Means, un documentario che raccoglie strumenti e processi della progettazione grafica pre-digitale.
Analizzando la transizione che ha portato il graphic design ad essere una disciplina prevalentemente digitale, Briar Levit documenta i cambiamenti apportati dalla tecnologia nel lavoro quotidiano del progettista:
“Volevo anche provare a capire cosa è cambiato e cosa è rimasto invece identico nella cultura del lavoro in studio a seguito dei cambiamenti tecnologici e dei successivi riflessi a livello di modus operandi.”
Graphic Means è la riscoperta degli strumenti alla base del graphic design ma anche delle figure professionali che fornivano questi strumenti ai designer. Una riflessione interessante che emerge in Graphic Means riguarda anche l’aspetto umano del lavoro e l’interazione tra i vari professionisti del settore:
“Sono varie le “mani” che intervengono nella fase di realizzazione di un progetto, dal designer al typesetter, dal fotografo al production designer. Come si strutturavano queste relazioni? Cosa si è irrimediabilmente perso quando abbiamo avuto l’opportunità di far sì che una sola persona curasse tutti questi elementi? Cosa ci abbiamo guadagnato?”
Pensiamo ad esempio alla relazione tra grafici e stampatori: se prima era indispensabile interfacciasi con chi si sarebbe occupato della stampa del nostro progetto, oggi possiamo risolvere il tutto inviando una mail con le indicazioni necessarie alla tipografia o addirittura ricorrere a servizi di stampa online, ricevendo il materiale direttamente a casa.
Con Graphic Means Briar Levit non intende promuovere un ritorno alle origini, bensì aggiungere un tassello indispensabile alla conoscenza e formazione di ogni designer (e non):
“Puoi essere un buon designer anche senza conoscere nessuna di queste cose ma arricchiranno la tua conoscenza della disciplina instaurando un senso di orgoglio scoprendo cosa ha fatto questa gente prima di te.”
Briar Levit e il suo team hanno scelto Kickstarter per lanciare la campagna di crowdfunding che porterà alla realizzazione documentario, figurando come Kickstarter Staff Pick e raggiungendo, a dieci giorni dalla chiusura della raccolta fondi, al 50% del traguardo.
Quante volte ci capita di leggere un tweet talmente geniale che vorremo stamparlo, incorniciarlo e magari attaccarlo al muro della nostra casa o del nostro ufficio? Onehundredforty, il servizio creativo ideato dalla designer svedese Amelia Shroye e dai suoi colleghi dell’agenzia House of Radon, risponde proprio a questa esigenza: bastano pochi click e un qualunque tweet scelto dall’utente può essere trasformato dall’applicazione in una vera e propria stampa artistica, sfruttando un algoritmo che combina fra di loro diversi parametri (disegni, foto, font) creati appositamente da alcuni artisti coinvolti nel progetto.
I creatori del servizio (attualmente ancora in fase di crowdfunding su Kickstarter), ci tengono a precisare che alla base del progetto c’è la volontà di rendere ogni stampa un pezzo unico: ovvero ogni singolo poster prodotto avrà la propria combinazione di design, e non potranno essere venduti più poster con la stessa combinazione. Al momento del lancio il servizio saranno coinvolti 15 artisti diversi, con 50 disegni originali e con più di 5000 possibili risultati progettuali. “E questo” – dicono “è solo l’inizio”.
Viaggiare per creare un’opera d’arte. E’ questa l’idea alla base di The Jaunt, il progetto artistico lanciato da YOUR:OWN, agenzia creativa di origine olandese, ma con sede a Copenhagen. Il tutto è iniziato nell’aprile del 2013 con il primo viaggio del giovane illustratore Rick Berkelmans ad Helsinki seguito, poche settimane dopo, da quello di Collin van der Sluijs in Portogallo.
La prima opera del progetto: Berkelmans ispirato da Helsinki
L’opera di Collin Van Der Sluijs creata trovando ispirazione a Porto
Ma facciamo un passo indietro, in che cosa consiste realmente The Jaunt? L’obiettivo di questo progetto è quello di stimolare la creatività di artisti locali e non offrendo loro l’opportunità di vedere e visitare luoghi nuovi, lontani da casa, in cui possano trovare nuove idee e ispirazioni.
“Allontanarsi dalla quotidianità, allargare i propri orizzonti e provare nuove esperienze è il modo migliore per trovare la giusta ispirazione” spiega Jeroen Smeets, ideatore del progetto.
Una volta ritornati dal viaggio gli artisti dovranno dar vita ad una nuova opera d’arte in edizione limitata (50 pezzi): una serigrafia ispirata al percorso, agli stimoli ed alle sensazioni provate durante l’esperienza appena vissuta.
Mike Perry ha creato quest’opera ispirato dalla città di Anversa
L’opea di Sasa Ostoja ispirata da Riga
L’opera di Erosie nata dopo il suo viaggio a Stoccolma
L’opera nata dal viaggio di David Shillinglaw in Danimarca
L’opera di Niels ‘Shoe’ Meulman ispirata ad Instanbul
Raymond Lemstra ha trovato ispirazione in Sud Corea
Miss Lotion ha trovato ispirazione in Marocco
Jordy van den Nieuwendijk ha preso ispirazione a Los Angeles
Ma non finisce qui, The Jaunt si autofinanzia completamente: le stampe degli artisti, infatti, vengono vendute a scatola chiusa su The Jaunt.net e possono essere acquistate ad edizione limitata unicamente prima della partenza. In poche parole, chi decide di comprare l’opera è a conoscenza del nome dell’artista e della destinazione in cui verrà mandato, ma il risultato finale rimane una sorpresa.
Un altro aspetto interessante, infine, è di come gli stessi artisti, durante i giorni di viaggio, si dilettino nella scrittura di una sorta di blog (che potete seguire sul sito ufficiale del progetto TheJaunt.net) con le impressioni e le sensazioni day by day della loro avventura creativa.
Il prossimo viaggio? E’ il tredicisimo e questa volta sarà il turno di Andrea Wan, artista e illustratrice residente a Berlino, che partirà alla volta dell’Islanda il prossimo 9 aprile. Se volete farvi un’idea dei lavori di Wan e, perché no, avere a casa vostra un’opera dal sapore tutto islandese, potete dare un’occhiata qui. E poi non vi resta che accomodarvi e godervi il viaggio insieme a lei 😉
Un mese fa avevamo pubblicato su questo blog un post dove raccontavamo la straordinaria capacità del movimento #empty di immortalare con scatti su Instagram i musei chiusi al pubblico: un’idea di visita digitale dei musei del fotografo di Brooklyn Dave Krugman, che in poco tempo è stata realizzata in diversi spazi culturali in tutto il mondo, dal Metropolitan Museum di New York alla Tate Modern di Londra. Visto il successo che aveva riscosso il nostro post e l’immaginario che apriva, abbiamo pensato che fosse giunto il momento di organizzare un evento simile anche in Italia: e quale miglior luogo se non l’incredibile scenografia offerta dalla Reggia di Venaria che era ancora chiusa al pubblico per la pausa invernale?
Le regole per organizzare un evento #empty
Abbiamo iniziato a pensare all’evento coinvolgendo gli Igers Torino e gli Igers Piemonte, le community degli appassionati di fotografia mobile di Torino e del Piemonte che sono stati fin da subito entusiasti di fare parte di un’esperienza irripetibile. Insieme a loro, e grazie anche ai preziosi suggerimenti dello stesso Krugman, abbiamo stabilito alcune regole per realizzare l’evento nel miglior modo possibile con la Reggia di Venaria completamente vuota:
– Un massimo di otto Igers per non rendere troppo “ingombrante” il gruppo di persone;
– Un massimo di tre ore di “cattura” della Reggia di Venaria;
– L’uso dell’hahstag #emptyReggia per le foto pubblicate su Instagram.
L’obbiettivo è stato quello di concedere la massima libertà creativa agli igers, che hanno avuto la possibilità giocare con la luce, l’architettura e le meravigliose prospettive offerte dalla Reggia e suoi giardini. E il risultato è stato a dir poco incredibile.
Per approfondire l’esperienza di #emptyreggia, abbiamo chiesto ai partecipanti di raccontarci cosa hanno provato, ma anche che significato può avere un evento del genere per un’istituzione museale e perché è valsa la pena renderla possibile. Abbiamo intervistato Valentina Rossetti, una delle Igers che ha sabato scorso ha immortalato la Reggia a porte chiuse e Matteo Fagiano dell’ufficio Stampa e Relazioni esterne La Venaria Reale.
Intervista a Valentina Rossetti, Local Manager Igers Torino
Valentina Rossetti
Otto membri delle vostre community di igers torinesi e piemontesi sono stati chiamati per raccontare la Reggia di Venaria in modo unico ed esclusivo. Vi era mai capitato di partecipare ad un evento del genere? Come vi siete coordinati fra di voi per realizzarlo al meglio?
Il rapporto tra musei e community di Instagramers locali si è consolidato nel tempo grazie a diverse attività. Esempi sono: la visita #warholmilano della community meneghina che ha potuto raccontare la mostra di Andy Warhol a Palazzo Reale o l’attività #CupForFund di Instagramers Torino a Palazzo Madama. E’ però la prima volta che una struttura viene aperta esclusivamente per 8 Igers. Questo è stato un grande privilegio per noi. Abbiamo quindi sfruttato questa opportunità per selezionare alcuni tra gli Igers più creativi e seguiti su territorio piemontese e radunarli per raccontare al meglio questa esperienza.
Qual’è la differenza fra fotografare un museo aperto al pubblico e uno che invece è stato aperto esclusivamente per te e per pochi altri intimi? Che grado di libertà creativa si può raggiungere attraversandolo in questo modo?
La differenza è abissale. Un museo aperto al pubblico, soprattutto durante i weekend, non consente quella libertà creativa che si ha visitando un museo a porte chiuse. Ancor di più nel caso di una location come la Reggia di Venaria, che ha spazi molto ampi e suggestivi, essere soli significa potersi prendere tutto lo spazio necessario per produrre scatti senza “imprevisti umani” e il tempo per spingersi verso composizioni meno convenzionali. Abbiamo avuto la possibilità di vivere il luogo in modo più intimo, perché lo abbiamo vissuto in tranquillità, ci siamo appropriati dello spazio sperimentando scatti diversi e così facendo abbiamo creato qualcosa di nuovo da immortalare attraverso la lente del nostro smartphone. Insomma, quante volte può capitare nella vita di potersi sdraiare a terra in una sala della Reggia di Venaria e rimanerci tutto il tempo necessario perché lo scatto sia fatto come lo esige l’autore?
Quali sono i luoghi e gli spazi completamenti vuoti de La Venaria Reale che vi hanno più impressionato?
I giardini esterni ci hanno impegnato per la maggior parte del tempo. Nonostante fosse pieno inverno, la magia di quel luogo così esteso e solitario, immerso in un contesto verdeggiante da cui è possibile vedere le montagne ci ha colpito così tanto da esigere un’ora buona di scatti. L’altra grande tappa, che ci ha lasciato letteralmente senza fiato, è rappresentata sicuramente dalla Galleria Grande. La sua bellezza ci ha inizialmente intimiditi, lasciandoci sulla porta ad ammirarla, quasi avessimo paura di calpestarla. Il tempo a nostra disposizione e la tranquillità data dall’essere soli ci hanno permesso di prendere confidenza con il luogo e produrre alcuni dei migliori scatti della giornata.
Che feedback hanno ricevuto i vostri scatti #emptyreggia postati su Instagram?
Sono stati un vero successo. A parte i tanti apprezzamenti da parte dell’intera community di Instagramers, abbiamo ricevuto i complimenti da parte di Dave Krugman, fondatore di #EmptyMuseum. Alcuni dei nostri scatti sono stati inoltre selezionati da numerosi account community che “premiano” giornalmente gli scatti più belli di Instagram a livello internazionale.
In generale, come avete vissuto questa esperienza? Sareste disponibili a ripeterla in altri musei italiani?
E’ stata un’ esperienza assolutamente positiva e stimolante, che ci ha motivato a pensare altre attività con questo approccio. Ci piacerebbe perciò partecipare in futuro ad altri progetti che prevedano la fruizione a porte chiuse di un luogo di cultura coinvolgendo, perché no, una gruppo più allargato della community Instagramers Piemonte.
Intervista a Matteo Fagiano, Ufficio Stampa e Relazioni esterne La Venaria Reale.
Matteo Fagiano
La Reggia di Venaria è stato il primo museo in Italia ad ospitare un evento #empty. Cos’è che vi ha spinto ad aderire subito a questa iniziativa? L’entusiasmo per un progetto davvero affascinante e la consapevolezza degli straordinari spunti che Instagram offre dal punto di vista dell’originalità e della viralità dei contenuti.
La Reggia è uno dei luoghi più visitati d’Italia, nell’ultimo periodo di apertura ha registrato più di 155 mila visitatori. Che effetto fa aprirla durante la pausa invernale per un gruppo di sole otto persone?
È stata un’esperienza particolare: la condivisione di un privilegio del quale, noi che abbiamo la fortuna di lavorarci, possiamo godere in ogni momento dell’anno. Muoversi per le sale e i Giardini della Reggia quando sono chiuse al pubblico è qualcosa di magico.
Tu hai accompagnato gli igers durante il percorso di visita. Come hanno reagito a gironzolare per una Reggia tutta per loro? Che differenza hai notato rispetto ai normali visitatori?
La soggezione iniziale, quasi una sorta di rispetto reverenziale, ha lasciato presto spazio alla voglia di divertirsi e di stupire. Li ho visti prendere confidenza con gli ambienti e lasciarsi guidare volta per volta dalle suggestioni del momento. Soprattutto mi ha stupito come non si siano limitati a ritrarre la Reggia vuota, ma abbiano cercato, quasi come se ne sentissero l’urgenza, di riempirla con il loro estro e la loro creatività.
Quali sono le caratteristiche estetiche della Reggia di Venaria che secondo te sono state più valorizzate da #emptyreggia?
La luce e le ombre, i riflessi, gli assi prospettici, le sfumature cromatiche. E più di ogni cosa la sua incredibile versatilità: la Reggia riesce ad essere sempre bellissima, che sia ritratta in un dipinto del Seicento o in una foto su Instagram.
Come si inserisce un evento del genere nella visione più generale della Reggia di Venaria di raccontare e farsi raccontare attraverso i nuovi media e le nuove tecnologie?
La Venaria Reale è un bene di tutti, vogliamo condividerla con più persone possibile e con ogni mezzo a disposizione. I social media ci danno l’opportunità di raggiungere luoghi lontani e pubblici diversi. Ci crediamo molto e i risultati di un evento come questo ci confermano che stiamo andando nella giusta direzione.
Siete nostalgici dell’inchiostro? Feticisti della carta stampata? L’e-book proprio non lo capite e non ci tenete a perdere diottrie leggendo articoli su internet? Allora SPAM Magazine potrebbe essere la rivista che fa per voi. Non lasciatevi intimidire dal nome che ormai avete associato alla posta indesiderata: SPAM è una free-press mensile con l’ambizione di raccogliere i migliori contenuti del web su carta. Ma non finisce qui. Si tratta del primo magazine interamente in Realtà Aumentata: ogni pagina, inquadrata con un mobile device, da accesso a contenuti extra creando così un ponte tra la carta e il web.
La cosa ci ha incuriositi, abbiamo ficcato il naso tra le pagine (cartacee e digitali) di SPAM e abbiamo fatto una chiacchierata con Federico Mirarchi, co-founder della rivista, per capirci qualcosa di più.
Chi c’è dietro Spam Magazine?
Dietro SPAM ci sono semplicemente Federico e Roberto, un copywriter e un art director con tanta “voglia di fare”, e soprattutto con la voglia di fare le cose fatte bene. Due che ci stanno provando, tutto qui, come ci provano tanti altri ragazzi, che magari non hanno visibilità, magari mai l’avranno, ma che in compenso stanno vedendo diventare concreta un’idea, cosa che dà sempre tanta soddisfazione.
Roberto Piazza e Federico Mirarchi, i fondatori di SPAM Magazine.
Spam nasce dall’amore simultaneo per la carta e per il web, due media apparentemente inconciliabili e spesso in conflitto. Quali sono gli aspetti principali che amate di entrambi i mezzi e come convivono in Spam? Il magazine nasce da due passioni esatto, la passione per la carta stampata e quella per il digitale. L’idea è stata quella di unire carta e internet in un unico nuovo media. SPAM infatti seleziona i contenuti dal web, scegliendo articoli, recensioni, illustrazioni e fotografie, stampa questi contenuti su carta, dando loro quella materialità emotiva che internet, più freddo e frenetico, non ha, e poi torna al digitale grazie all’utilizzo della Realtà Aumentata: con l’app di SPAM Magazine, infatti, inquadrando le pagine si scoprono contenuti extra quali video, animazioni, oggetti 3D, link di approfondimento, shop online e altri contenuti testuali, per esempio. I due mondi dialogano fin dal principio, il loro stesso dialogo è la base del magazine: contenuti che provengono dal web che vengono stampati su carta e che poi possono essere approfonditi in Realtà Aumentata. Al modo tradizionale di fruire di una rivista abbiamo aggiunto il modo digitale. Riteniamo che questa integrazione tra carta e digitale possa essere il futuro dell’editoria. Noi lo consideriamo il presente ma siamo gli unici ad avere un magazine totalmente in Realtà Aumentata, oltretutto gratuito.
Per capire come funziona SPAM Magazine la cosa migliore è guardare questo video tutorial:
Oltre a, ovviamente, scaricare l’app gratuita SPAM Magazine, per iOS e Android, e inquadrare le pagine della rivista.
Spam promette di raccogliere al suo interno i migliori contenuti del web: con che criteri vengono scelti i contenuti?
Il nostro gusto è il parametro di selezione. Selezioniamo contenuti non ancora esplosi in rete e sui social e che abbiano un sapore informale. La peculiarità del magazine è che l’informazione viene dal basso, dai blogger, quindi niente grandi firme ma punti di vista di persone “normali”. I contenuti che scegliamo inoltre sono “atemporali”, validi oggi e anche tra un anno, senza una scadenza insomma.
Sul web la diffusione di contenuti a scapito delle fonti/autori è una problematica costante: come gestite le fonti a cui attingete e come dialogate con gli autori nel momento in cui decidete di riportare qualcosa che gli appartiene?
Ogni volta che troviamo un articolo o un lavoro interessante, di fotografia o illustrazione, contattiamo gli autori chiedendo il permesso di pubblicare il loro lavoro. Non abbiamo quindi una redazione che scrive in base a un nostro brief, ma selezioniamo contenuti già scritti in cambio di visibilità visto che la rivista è gratuita. Devo dire che i blogger sono molto contenti di partecipare e molti si offrono per collaborazioni continuative totalmente gratuite, ma noi preferiamo dare in ogni numero del magazine, visibilità ad autori diversi.
Perché portare contenuti già esistenti sul web su carta stampata? Non rischia di essere ridondante anche a scapito dell’impatto ambientale? La lettura su digitale è “mordi e fuggi”, frenetica, spesso di si ferma ai titoli e ai sottotitoli senza approfondire, mentre si legge si è distratti dall’arrivo di una mail, di una chiamata Skype ecc. Con la carta ci si prende il proprio tempo, ci si stacca dalla frenesia di internet. Inoltre, essendo internet un flusso continuo, spesso basta non collegarsi alla rete un giorno per perdere contenuti interessanti. SPAM Magazine rappresenta quella raccolta di “segnalibri” che tutti abbiamo sul nostro browser ma che poi ci dimentichiamo di consultare con calma. Infine, sulla carta diamo ai contenuti dei blog quella dignità grafica che spesso in rete non hanno. Per quanto riguarda il discorso ambientale, noi stampiamo su carta FSC: l’FSC indica standard globali per la gestione delle foreste, all’insegna dell’equilibrio fra aspetti ambientali, sociali ed economici. Il benessere della comunità e degli ecosistemi forestali è importante quanto la ripiantumazione di alberi per assicurare il futuro delle foreste del mondo. Il sistema FSC fornisce anche una certificazione della gestione delle foreste e della rintracciabilità del legno. Per potersi fregiare dell’etichetta FSC, infatti, il prodotto deve rispettare una serie di standard in ogni fase della lavorazione, trasformazione, distribuzione e stampa, quindi siamo molto attenti. In ogni caso spesso si dà alla carta la colpa della deforestazione quando non è affatto così, per questo vi invito a leggere questi luoghi comuni sulla carta, su un sito che è apparso sul primo numero di SPAM appositamente per sfatare un po’ le cose che si dicono intorno alla cellulosa: http://www.it.twosides.info/Scarica-e-stampa-la-brochure
In Spam, la realtà aumentata costituisce il valore aggiunto della rivista, nonché anello di congiunzione tra carta e digitale: quali sono i contenuti a cui si può accedere e da chi vengono curati?
Grazie all’AR con SPAM possiamo approfondire ogni singolo articolo con video, link di approfondimento, shop online. Oltre ai contenuti editoriali ovviamente si possono approfondire anche i contenuti commerciali. I contenuti dell’AR e sua programmazione vengono curati da noi grazie alla collaborazione di Cristian Contini, il geek del gruppo, che conta, oltre a me e Roberto Piazza, cofounder del progetto, anche la preziosa collaborazione di Roberta Marchesi.
Spam è stato definitivo un prodotto innovativo, in che cosa risiede secondo voi la vera innovazione di questo progetto?
Sicuramente l’AR è il fattore che colpisce di più, ma non sottovalutiamo, in un periodo in cui tutte le aziende ormai si rivolgono a blogger e certi blog assumono il valore di un’azienda, che si cerca tutti di più un’informazione fuori dagli schemi, dal basso appunto, non controllata dalle logiche dell’informazione di massa. L’unione di questi due aspetti sicuramente rende SPAM, almeno a oggi, un magazine unico.
A due anni dal lancio di SPAM, il magazine diventa anglofono e approda a Berlino diventando il primo free magazine in Europa realizzato interamente in realtà aumentata. Vi aspettavate questo successo? Arrivati a questo punto, quali sono i vostri piani per il futuro della rivista? Quello di Berlino è stato un esperimento ben riuscito, ma comunque un esperimento. Berlino ha raggiunto l’apice in questi anni, diventando il sogno di tutti i giovani e il punto di partenza di start up e aziende. Personalmente anche noi ogni anno facciamo la nostra “puntatina” a Berlino, è una città che amiamo perché in continuo fermento artistico e culturale. Il nostro piano principale resta quello di espanderci in Italia, magari continuando con degli speciali all’estero, ma il nostro business core resta qui, chiaro poi che il sogno sarebbe quello di vedere uno SPAM distribuito in tutto il mondo, con contenuti presi da blog internazionali e con approfondimenti in AR provenienti dai paesi più disparati. Staremo a vedere.
Continuando a parlare di futuro, qual è il vostro punto di vista sulla carta stampata? Inoltre, essendo una free press, il dialogo con gli sponsor sarà fondamentale: avete avuto un riscontro positivo per quanto riguarda la disponibilità ad investire nel buon vecchio formato cartaceo? Gli investitori si sono dimostrati interessati, alcuni più di altri poi. In certi casi forse è ancora presto, o sono loro troppo indietro, e non hanno capito il progetto, in altri invece, con i brand più lungimiranti, è stato più facile dimostrare il valore aggiunto di SPAM, e l’innovazione che abbiamo portato nell’editoria. Chiaro che essendo un free magazine di alta qualità, come si evince dalla confezione, e vivendo solo di advertising, non è facile, soprattutto in un periodo come questo, ma per fortuna molti brand hanno visto in SPAM qualcosa di mai visto, scusa il gioco di parole, e questo è stato premiante, sia per noi che per il magazine. In generale invece, noi siamo convinti che la carta non morirà mai. Proprio settimana scorsa ho letto un articolo che consigliava di stampare il più possibile perché non resterà più niente dei nostri file. Anche guardando molto molto avanti, quando tra 2000 anni troveranno le nostre chiavette USB non potranno leggerle, la memoria storica sarà cancellata. Speriamo trovino almeno una copia di SPAM Magazine. 🙂
SPAM Magazine lo trovate su Facebook e in digitale su www.spam-magazine.com, se invece volete tastare la sua copertina stampata in rilievo e annusare le pagine fresche di stampa, le copie cartacee sono in distribuzione a Milano o a Berlino.