Le colpe di Report e le colpe della rete

Le colpe di Report e le colpe della rete

Della puntata di Report su Internet di domenica scorsa se ne sta discutendo un po’ dappertutto, blog, forum, quotidiani online e naturalmente sui Social Network. Come potevamo noi dunters tirarci indietro? Ieri la Gabanelli ha risposto alle critiche e immediatamente Matteo Bordone ha replicato su Wired. Sempre ieri fa Stefania Rimini, autrice dell’inchiesta, ha risposto di nuovo dicendo la sua (anche in modo abbastanza provocatorio).

Personalmente ho già detto la mia in 140 caratteri con un tweet (citato ieri dall’Unità online) parlando non bene della puntata di Report ma tenendo le distanze da certe critiche completamente gratuite. A qualcuno potrà sembrare una contraddizione che, chi come il sottoscritto, lavora appasionatamente in rete per la maggior parte della giornata, si ritrovi a dover difendere Report dai tanti #fail piovuti come pietre dopo la trasmissione di domenica sera. Ma non riesco ad unirmi alla lapidazione pubblica e virtuale della Gabanelli e dei suoi collaboratori. Invece molto laicamente credo che ci sia bisogno di fare delle puntualizzazioni, sulle colpe (che ci sono) di Report e quelle (che pure non mancano) nel feedback negativo di molti utenti.

Report è stato ingenuo? Certo: ha scoperto l'”acqua calda” di come dietro alla gratuità di alcune risorse (da Google a Facebook) si nasconda un universo economico non indifferente, capace di arricchirsi (e di far arricchire). Report è stato approsimativo? Si, assolutamente. Soprattutto nel voler far apparire Facebook come un’entità fagocitante tutta la rete. Forse lo è per molti giovanissimi, ma il web, lo sappiamo, è anche molto altro (Twitter ad esempio è stato relegato in un paio di minuti). Report è stato allarmista? Un pochetto. Perché in confronto alla pubblicità generalista che ci bombarda su riviste e TV la pubblicità mirata sarà anche furba, ma cerca una nuova fidealizzazione con il potenziale cliente. “Il prodotto sei tu”, titolo dell’inchiesta, può sembrare un’affermazione che spaventa. Ma se il fine è modellare il prodotto sui feedback degli utenti, sui loro interessi e sui loro desideri ecco che l’affermazione diventa “il produttore sei tu” (do you remember WyGet?). Ed è già un’altra cosa, l’orizzonte ultimo per cui il consumatore ha un controllo quasi diretto sul prodotto. Infine, la cosa più importante, Report ha disinformato? No, non lo ha fatto. Nonostante abbia evidenziato alcuni aspetti rispetto ad altri (molti dei quali, spam e phishing, ancora dal sapore 1.0) Report ha elencato una serie di questioni (banali, certo) e problemi (ingenui, pure) ma che esitono per molti utenti che forse, sbagliando, non consideriamo.

E veniamo così all’anziana signora assediata dal phishing, quella che già molti hanno chiamato “Sora Cesira”, archetipo dell’anafalbetismo digitale, che non è stata digerita da chi ha criticato Report perché non rappresenterebbe l’utenza media della Rete. Forse è così, ma sicuramente rappresenta (e non solo lei) l’utente che per la prima volta si connette nell’universo internet. Se è vero che quasi 26 milioni di italiani navigano quotidianamente sul web, è anche vero che solo un piccola percentuale di loro ha le capacità culturali e tecnologiche per usufruire a pieno delle potenzialità della Rete, di ignorare i tranelli, di padroneggiare senza problemi lo strumento del web. Gli ultimi dati ISTAT del dicembre scorso parlano chiaro:

Le persone di 6 anni e più che si sono connesse ad Internet negli ultimi tre mesi hanno utilizzato la rete prevalentemente per spedire o ricevere e-mail (78,5%)

Ma anche:

Il 76,3% degli individui di 14 anni e più che hanno usato Internet nei 12 mesi precedenti l’intervista ha dichiarato di aver avuto almeno un problema di sicurezza. I problemi più frequenti sono il ricevere e-mail indesiderate (52,9%) e l’avere il computer infettato da virus che hanno causato la perdita di tempo e/o di dati come i worm, trojan horse ecc. (45,5%).

Dunque Report non ha fatto altro che rivolgersi a tutti, chi in internet ci naviga ed incontra dei problemi (maggioranza di utenti) e chi internet nemmeno lo conosce o lo usa solo al minimo delle sue risorse. I feedback negativi alla trasmissione, in questo senso, appaiono davvero come la critica snobistica di chi ha la capacità di addentrarsi in un medium, conoscerne le virtù ed evitarne le trappole. Norbet Wiener, teorico della cybernetica (e ancora non esistevano i terminali computabili) aveva immaginato un mondo dove le disuguaglianze sociali ed economiche fra gli uomini sarebbero scomparse grazie alla futura centralità della macchina. Ma aveva messo in guarda tutti su un nuovo classismo: quello tecnologico. Il “digital divide” è proprio questo: da una parte chi sfrutta e padroneggia le potenzialità (anche economiche) della tecnologia e dall’altra chi subisce passivamente le logiche più alienanti della tecnologia stessa.

Per questo certi “slogan da stadio” in 140 caratteri non mi sono piaciuti: dalla presa in giro della Sora Cesira all’autoeleggersi “vera rete” contro quella proposta da Report. Se da una parte il pericolo del Digital Divide esiste (e Report ha fatto bene a evidenzialo) dall’altra la Rete non appartiene a nessuno se non a tutti gli utenti che ci navigano, nessuno escluso: dalla Sora Cesira imbrigliata nella propria casella di posta ai nativi digitali che pensano che la Rete sia solo e soltanto la bacheca di Facebook.

Proprio per questo forse dovremmo ragionare in modo meno escludente, perché di “caste” in Italia ne abbiamo già troppe e non ne abbiamo bisogno pure di una “casta digitale”. Forse dovremmo capire che non è nè il ruolo della Televisione generalista nè quello di Report elogiare la rete e nemmeno possiamo pretenderlo perché sfoceremo in un assolutismo culturale (e mediatico) che per definizione non appartiene all’etica della Rete stessa. Forse dovremmo capire che per migliorarla, la Rete, dobbiamo agire nelle sedi adeguate, civili e legislative, per risolvere le contraddizioni con il mondo reale (diritto d’autore compreso) e dare la possibilità a tutti di usufruirne nel modo giusto. Ogni critica alla Rete deve diventare occasione di riflessione per renderla un posto confortevole per altre persone. E questo non si fa a colpi di #fail.

Da pagina personale a pagina fan: l’analisi di Dunter

Da pagina personale a pagina fan: l’analisi di Dunter

Il proliferare di pagine personali utilizzate per la promozione di attività commerciali e brand, ha creato nel tempo una piccola grande anomalia in Facebook.  Lavorandoci quotidianamente, ci risulta palese come la strutturazione dei livelli di interazione da parte del Social Network di Zuckerberg abbiano l’obiettivo di ordinare quelle che sono le categorie dei fruitori del portale, di modo che i ruoli siano sempre più chiari e gestibili, e dall’altro, evitare agli utenti stessi una continua azione di spamming da parte di aziende da ogni parte del mondo. Facebook, basicamente, è fondato sulle relazioni personali ed è facile intuire, osservando le proprie amicizie sul Social, come la maggior parte siano “reali”, o per lo meno, relative ad incontri “reali” (anche se occasionali) strettamente collegati alla nostra vita (famiglia, amici, amici di amici, colleghi). Inoltre, sempre analizzando la stragrande maggioranza dei profili, è lampante come sia strettamente riconducibile ad una persona a noi famigliare: nome, cognome e fotografia. Risulta quindi essenziale, per una concreta customer satisfaction, che non vi siano “profili” generici che si aggirino indisturbati e possano contattare e disturbare la socializzazione in essere: a nessuno di noi, infatti, piace dialogare con un nome generico, non sapendo chi effettivamente ci sia dietro lo schermo a gestirlo in quel preciso istante anche, e soprattutto, per una questione di privacy dei propri contenuti. Insomma, anche per un brand non è il massimo presentarsi così. Le pagine Fan, invero, possono interagire con un numero di user maggiore: possono infatti superare la fatidica soglia di 5000 contatti. Inoltre, proprio ultimamente, Facebook ha permesso alle pagine Fan di connettersi ad altre pagine Fan e di poter commentare, quindi, con il proprio brand sui Wall degli altri brand. In questi mesi, lo stesso Facebbok, ha cancellato migliaia di profili di pagine personali utilizzate impropriamente. Ma ecco una soluzione ghiotta offerta a tutti coloro si trovino indecisi, rischiando la cancellazione: da pochi giorni è possibile trasformare la propria pagina personale in pagina Fan. Una mossa probabilmente decisa in seguito alle proteste degli utenti e, crediamo, anche in base al fatto che “tout court” si perdono migliaia di contatti, un boomerang anche per lo stesso FB, che vive e si basa sul proliferare dei contenuti. Prima di descrivere i semplicissimi passaggi con cui si può realizzare la trasformazione, ci teniamo ad essere chiari su un paio di punti:

  • il passaggio è irriversibile (ricordiamoci che la scelta opposta è rischiare di perdere tutto da un giorno all’altro)
  • i tuoi amici diventeranno automaticamente Fan della tua nuova pagina
  • dovrai salvare tutti i tuoi dati (ad esempio le foto) se no andranno perse. Per questo passaggio ti consigliamo di andare su Facebook a questo indirizzo e cliccare su “Scarica le tue informazioni”

Evidenziate queste precisazioni, possiamo passare dalla nostra pagina personale alla pagina Fan.

  1. Entra in Facebook con il profilo del brand con il quale vuoi cambiare
  2. Clicca su questo link
  3. Scegli la corretta tipologia per la tua attività

Voilà.

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