Letterpress is sexy: Archivio Tipografico

Letterpress is sexy: Archivio Tipografico

Vi siete mai chiesti come quel vostro libro preferito si sarebbe potuto realizzare prima dell’avvento della stampa digitale? Sappiamo bene che la vostra risposta sarà “No e non ci interessa.”, ma insistiamo per spiegarvelo. La tecnica si chiama stampa a caratteri mobili anche detta anglofonicamente letterpress e fu introdotta in Europa nel 1455 dal Tedesco Johannes Gutenberg. Con l’avvento del digitale, cosa ne è stato del letterpress? Ebbene questa antichissima disciplina continua a resistere grazie a numerose realtà che si fanno portatrici del verbo, o meglio della stampa, di Gutenberg.
A Torino, in via Brindisi 13, si nasconde Archivio Tipografico, fiero membro della resistenza. Archivio Tipografico dal 2003 è uno spazio per lo studio, la conservazione e l’esercizio della tipografia: dimenticate il buon Johannes Gutenberg e date un caloroso benvenuto a Emanuele Mensa, Nello Russo, Anna Follo, Davide Tomatis, Gabriele Fumero e Davide Eucalipto. In Archivio, il tempo si è fermato e ora scorre veloce, giorno dopo giorno tra il restauro di un carattere e una stampa (o un centinaio.). Abbiamo fatto un paio di domande ai ragazzi di Archivio Tipografico e ci siamo fatti raccontare tutto sul letterpress.


Ok, prima domanda, per scaldarci. Digitale o analogico?
Post-digitale: cerchiamo di sfruttare al meglio i due ambiti.

Descrivete il letterpress a un nativo digitale perfettamente ignorante in materia.
La stampa tipografica è una tecnica che ha più di 500 anni. Si basa sul trasferimento dell’inchiostro dai caratteri a un foglio di carta tramite pressione. Le macchine utilizzate erano anticamente torchi, che si sono evolute in macchine piano-cilindriche o platine.
In 140 caratteri: funziona come un timbro dalla resa #perfetta.

Cosa succede in Archivio Tipografico? Qual è la giornata tipo?
Dipende da che cosa c’è da fare. Di sicuro capita sempre di mettere in ordine o catalogare qualche cassetto di caratteri. Ma anche stampare, preparare il materiale per la stampa,  comporre (ovvero realizzare le composizioni che poi andranno stampate), progettare nuovi prodotti, siano essi poster, biglietti o libri. E comunque sempre stare insieme davanti ad un buon bicchiere e ad una fetta di salame.

Spesso il letterpress viene visto come una disciplina di nicchia o come una pratica riservata agli amanti del vintage (tipo quelli che vanno in giro con il risvoltino ai pantaloni e la bici a scatto fisso, quelli lì, dai.).
Siete d’accordo? 
Quali sono i riscontri pratici del lettepress oggi? Che tipo di richieste ricevete?
Spesso il mondo del web design è visto riservato a quelli con grossi occhiali con le lenti a fondo di bottiglia, no?! Scherzi a parte, è vero che negli ultimi tempi il letterpress è diventato una sorta di moda, ma è anche vero che resta una tecnica che fornisce una qualità di stampa unica. Spesso chi si avvicina a questa tecnologia attirato dall’aspetto “modaiolo” poi resta affascinato molto di più dalle sue peculiarità tecniche e storiche. Certamente è una nicchia, ma è in continua espansione; negli ultimi tempi stiamo ricevendo sempre più richieste per realizzare set di nozze e biglietti di visita, crediamo che questo fenomeno sia dovuto al desiderio di ridare fisicità ai prodotti stampati.


I software dedicati all’impaginazione ormai la fanno da padrone, per non parlare della stampa digitale. 
Nel vostro caso è possibile un dialogo tra digitale e analogico? Esiste un processo digitale nel letterpress?
Sicuramente la possibilità di creare matrici in fotopolimero a partire da file digitali costituisce una sorta di tramite tra questi due mondi. In questo caso il processo di progettazione è totalmente digitale e solo la stampa è analogica. Ultimamente stiamo anche sperimentando tecniche ibride in cui magari partiamo da materiale analogico, vettorializziamo, modifichiamo e creiamo un clichè.

Ma quindi posso mettere un hashtag in lettepress?
L’hash è un simbolo decisamente troppo avanzato, purtroppo non è supportato da nessun carattere in piombo.

E se poi me ne pento? Posso usare ctrl+z?
No, purtroppo no. Ma ci si può consolare degli errori con l’ottimo prosecco in frigo.

Insomma, se c’è Adobe perché state ancora dietro a ‘sta roba?
Ovvero: perché la stampa a caratteri mobili è ancora in uso nonostante la digitalizzazione estrema del tutto e perché è importante secondo voi?
Domanda interessante. Sicuramente il desktop publishing ha portato una grande innovazione nel mondo editoriale, ma è anche vero che, in parte, ha reso la progettazione più distaccata: il comporre un testo su un pc piuttosto che a mano non è una mera differenza di tempo, facilità e possibilità di correzione, ma bensì di coscienza. Ti fa capire veramente molto, sia sul carattere e sull’impaginazione, sia sul prodotto finito e sul suo aspetto. Oltre a ciò riteniamo importante conservare il patrimonio storico e culturale dato dalla stampa tipografica. Alcuni anni fa era possibile riconoscere la provenienza geografica di uno stampato solo dal carattere utilizzato. Questo concetto ci affascina molto e cerchiamo di preservarlo. L’Archivio inoltre è un posto che permette di trovare il giusto equilibro nel mondo iperconnesso e iperdigitale.


Va bene, cambiamo argomento.
Che rapporto ha Archivio Tipografico con la comunicazione digitale e, in particolare, con i social media?
Ci siamo resi conto che anche nel nostro caso, e forse soprattutto, i social media sono fondamentali per diverse ragioni. Una di queste è che le tipografie simili alla nostra sono poche e sparse per il mondo, e solo grazie ai social network riusciamo ad entrare in contatto con loro. Un’altra ragione è mostrare a chi può essere interessato alle nostre lavorazioni o alla nostra collezione che siamo continuamente attivi e produttivi, e che abbiamo sempre novità da comunicare.

Qual è il vostro carattere preferito?
Tutti quei caratteri che sono nati come “risposta” ad una moda del momento ma che poi hanno acquisito una loro identità specifica. Ad esempio il Forma, il Recta ma anche il Mercator, che avrebbero dovuto essere le versioni locali dell’Helvetica, i primi due in Italia e l’ultimo in Olanda. E poi siamo affascinati da tutti i caratteri che non abbiamo mai stampato.

E il vostro social network?
Instagram ci fa molto gioco e ci promuove facilmente nel mondo dei risvoltini e delle biciclette a scatto fisso.

Convincete un nativo digitale perfettamente ignorante in materia che la stampa a caratteri mobili è una cosa bellissima.
Avete presente qui biglietti in carta spessa? Quelli in cui si sente la carta sfondata dalla pressione, con tanto di effetto rilievo? Insomma, roba da far ingelosire il vostro capo? Bene, noi lo possiamo fare.

Archivio Tipografico lo trovate su Facebook, Instagram, Vimeo e Issuu.

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Alessia Giazzi

Mangia pane e grafica (ma non disdegna la paella). E’ la dunter delle icone, per lei il vettoriale non ha segreti. Ama i caratteri, le piace alternare livelli di Illustrator a strati di cheesecake e tra una campitura e l’altra sogna i colori pastello della Spagna. Da anni le dicono che nella botte piccola c’è il vino buono, ma ancora non riesce a raggiungere i ripiani più alti degli scaffali.

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