Avremmo dovuto parlarne su Clubhouse

Avremmo dovuto parlarne su Clubhouse

Oggi parliamo un po’ di Clubhouse

Clubhouse è un social network americano lanciato ad aprile 2020, basato esclusivamente sull’audio. 

Si tratta del social del momento, quello di cui tutti parlano e che sta facendo una rivoluzione (non è proprio il caso di dire silenziosa) nel mondo del social.

Ne ho parlato anche qui 👆 nell’ultimo episodio del nostro podcast.

Elite ed esclusività 

Il concetto di esclusività caratterizza fortemente Clubhouse, sotto diversi punti di vista:

  • l’app è (per ora) disponibile solo per dispositivi iPhone; 
  • l’accesso alla piattaforma non avviene solo tramite semplice iscrizione: l’utente deve infatti essere invitato oppure accettato da qualche suo contatto (il social infatti richiede l’autorizzazione alla rubrica contatti, dalla quale attinge). Solo da questo momento potrai visualizzare l’interfaccia dell’app e quindi anche tutti i contenuti disponibili;
  • ogni utente possiede un numero limitato di inviti (5) per portare amici sulla piattaforma (interessante il fatto che sotto ad ogni singolo profilo appaia anche il nome di chi lo ha fatto entrare); 
  • esiste una numero massimo (5mila utenti) che si possono trovare contemporaneamente nella stessa room. 

Tutti questi fattori portano ad una sola cosa: al desiderio.

In Italia, Clubhouse ha iniziato a diffondersi intorno a dicembre, continuando a crescere in modo esponenziale.

Come funziona 

Senza stare a fare troppa teoria, su Clubhouse esistono delle room (aka stanze) ed esistono tre differenti ruoli: moderatore, speaker e ascoltatore:

  • il  moderatore è colui che gestisce la conversazione, può invitare altri utenti a partecipare oppure togliere la parola ad uno di essi; 
  • lo speaker è la figura abilitata a parlare, che crea la conversazione insieme al moderatore; 
  • l’ascoltatore è l’utente che partecipa (messo in muto di default) alla conversazione: può chiedere la parola, alzando la mano. Il moderatore vedrà quindi una “coda di prenotazioni” e aggiungerà le persone alla conversazione, dandogli la possibilità di parlare oppure, al contrario, togliendola (in caso di contenuti offensivi o inadatti/non pertinenti al tema della room).

E ora viene il bello: in queste room cosa si fa? Si parla. Si ascolta. E basta.

Io me lo sono scaricata e posso raccontarvi la mia esperienza (ringraziamo il collega
Matteo per la gentile concessione). Ne avevo sentito parlare e alla fine ho ceduto. Un po’ per curiosità, un po’ perché, diciamolo, ci piace sempre scoprire le cose prima degli altri. Soprattutto se parliamo di un’app che al momento risulta essere fortemente limitante ed esclusiva.

In pratica

Al primo accesso, il social ti chiede (come in molti casi accade) di indicare quali macrocategorie potrebbero piacerti o essere interessanti: filosofia, musica, storia, scienza, economia, finanza ecc. Dopodiché, visualizzerai un elenco di stanze pertinenti ai temi scelti e vedrai: il nome della stanza, alcuni nomi dei partecipanti e il numero di persone che sono lì dentro. 

Poi entri, e ascolti. E ti chiedi: ”Ma io, cosa sto facendo qua?”. E poi vedi, se il discorso ti piace, resti e magari interagisci. Se no “leave quitely✌️” come recita il tasto dell’app.

La mia esperienza è stata più o meno quella di sentirmi in un mondo alieno per almeno un paio di giorni, in quanto: non sapevo esattamente come funzionasse e soprattutto trovavo solo room di americani (leggi:“non ci capivo una mazza”).

Poi, un giorno ho trovato Madame, e da quel momento mi si è aperto un mondo (lei è una specie di Queen delle room, definite addirittura “lobby” in altre room). 

Comunque, a parte gli utenti suggeriti che compaiono in base al follow, che già vediamo in altri social, in ogni room ci sono tre livelli: chi parla, gli utenti seguiti dagli speakers, e gli ascoltatori. Il secondo livello risulta particolarmente utile per creare la propria rete di following. Infatti, ogni qual volta una persona che segui partecipa o avvia una room, riceverai una notifica.

Le room possono essere spontanee o programmate. Esistono diversi vantaggi in entrambi i casi, ma dipende molto dallo scopo dello speaker/creator che c’è dietro. Banalmente, programmare una room può essere utile per organizzarsi: il creator potrà curarne la scaletta, scegliere gli ospiti; l’ascoltatore potrà aggiungerla al suo calendario e tenersi un pezzettino di tempo da dedicare alla room. Per esempio, se si tratta di una room “Addetti ai lavori del mondo del marketing”, si potrà organizzare per seguire quello che sembra essere un vero e proprio webinar. Al contrario, una room spontanea può essere utile per socializzare non per forza con un fine prestabilito, ma per il puro desiderio di parlare con qualcuno.

Definirei la mia esperienza divertente: ci ho trovato di tutto e di più.
Ho ascoltato conversazioni sul digital marketing, sul futuro del clubbing in Italia, sull’indie anni 2000 inglese, mindfulness, english practice.

Ma alla fine quello che ho capito è che non conta tanto quello ciò che si dice, l’importante è essere lì. Fare la chiacchiera, di qualunque tema essa sia. Millemila room con argomenti e focus diversi, ma che contengono sempre un solo fattore: si parla in modo amico e aperto, si parla tanto, ci si confronta. 

Influencer 

Ovviamente non c’è solo questo tipo di conversazione su Clubhouse (quella “leggera”), anzi. In realtà a prima vista sembra molto un social per “addetti ai lavori”. O comunque, sono loro ad avere il potere “più grande” in quanto esperti di un determinato argomento. Su Clubhouse c’è anche tanto marketing, finanza, tanta scienza.
Non a caso, uno dei momenti apicali nella diffusione dell’app è stato l’intervento di niente meno che Elon Musk: ospite nella stanza di “The Good Time Show”, una sorta di versione per l’app dei tradizionali late show all’americana, ha parlato di Bitcoin, viaggi su Marte, progetti in cantiere per Tesla e un sacco di altre cose. Nonostante l’ora fosse tarda, i 5mila ospiti nella stanza sono stati raggiunti immediatamente, tanto che la corsa è stata a replicare l’intervento dell’imprenditore anche in altre stanze oppure trasmetterlo in streaming su YouTube. (Questa, di fatto, è un’azione illecita. I flussi infatti non sono salvati/salvabili, a meno che non vi siano problematiche o indagini in corso). Un altro grande ospite è stato Mark Zukerberg (ma và?).

Parliamo di Influencer: quelli che abbiamo appena citato certo, ma non esistono solo loro. Esistono già tanti “influencer” in questo senso: personalità con tanti follower e room programmate con estrema cura.
L’altra sera mi è capitato di stare in una room in cui si parlava proprio di Clubhouse, e di come anche per gli influencer di questo tipo di attività possa essere difficile e stremante. Proprio perché parliamo di un social che ti avvolge completamente con la sua voce seducente, che può essere molto bello e stimolante, ma anche estremamente alienante.

L’impressione che abbiamo di Clubhouse è in sostanza positiva, perché ci trasmette confronto e apertura. 

La musica italiana su Clubhouse

La musica è presente in modo massiccio su quest’app, per diversi motivi. In primis perché trattandosi di un nuovo social, è naturale che gli artisti vogliano presidiare e comunicare anche in un altro modo (per ora ancora nuovo). Per me, che sono appassionata di questo mondo, è stato bello ma soprattutto molto strano sentire solo parlare dei musicisti, soprattutto perché (escludendo video, stories instagram o interviste) è molto particolare sentirne solo la voce. Sembra di fare un po’ amicizia con personalità delle quali ti potevi essere fatto solo un’idea. Ma un’idea che passa soprattutto attraverso l’immagine, che qui è totalmente assente.

Gli artisti comunicano in modo vario: alcune volte in modo friendly trattando temi di attualità, altre invece condividono la loro musica o creano delle jam, dandoci la sensazione di essere in una sala d’ascolto privata. In questo universo sono presenti anche svariate figure professionali (produttori, A&R, distributori) che creano invece room più tecniche nelle quali condividono la loro esperienza e scambiano impressioni e percezioni sul futuro del settore.

Il caso: Musica Italiana Clubhouse

Un caso interessante che vi voglio portare oggi è quello “Musica Italiana Clubhouse”. Questa room inizia da un gruppo di professionisti della musica: è infatti una room all’interno della quale si possono incontrare i personaggi più influenti in materia di musica italiana. Si parla sia di addetti che ai lavori che di artisti. Ma sono anche molto presenti e importanti gli ascoltatori, che intervengono spesso e in modo attivo, creando quindi una conversazione di tipo orizzontale. Questa stanza è attiva tutti giorni in tre sessioni, mattino pomeriggio e sera. Gli argomenti sono variabili. 

Il clima è così bello e stimolante che Umberto Labozzetta (esperto di comunicazione e promozione discografica) propone l’idea di produrre e promuovere un nuovo singolo di un artista emergente, selezionato tra gli artisti che frequentano la stanza di Musica Italiana Clubhouse e che invieranno il proprio brano. Ecco che un’idea diventa un contest, con un suo sito web e con un orizzonte di concretezza e opportunità tangibili. Ma soprattutto diventa “lanciare un artista tramite Clubhouse”. Tra i provini ricevuti verrà selezionato un brano, il quale sarà poi prodotto, distribuito e promosso da Musica Italiana Clubhouse.

Sociologicamente parlando

Analizzando il tutto in chiave sociologica, possiamo dire che Cloubhouse si colloca a metà tra l’individualismo e la collettività. Attenzione però a non alienarsi. Perché c’è anche chi su Clubhouse già ci vive, connesso la sera quando vai a letto e la mattina quando ti svegli. C’è anche chi:“oh mi sono addormentato due ore fa e siete ancora qua”.
In un caso di fruizione passiva, come può essere il mio, diventa un sottofondo: come la musica per addormentarsi, ma tutto il giorno.

Si crea, in questo spazio, una connessione ibrida tra la verità delle relazioni sociali (in molte room le persone si conoscono e parlano tra di loro) e l’immaterialità delle relazioni virtuali.

Proprio per la possibilità di una fruizione anche e solamente passiva, sembra che le persone abbiano bisogno di immergersi in un flusso comunicativo costante sì, ma anche distratto e per certi versi assente.

Torniamo ancora a Mc Luhan, ribadendo che il senso del medium è il medium stesso: è il mezzo il messaggio, non tanto quello c’è dentro, quello che in questo caso “sentiamo”. Quindi il messaggio, in questo caso, è che forse esiste una piccola insenatura composta da un’utenza che ha bisogno di un sottofondo sempre (assolutamente compatibile con la fruizione contemporanea dei media). Inoltre, la sensazione è che l’utenza digitale oggi senta anche il bisogno di percepire la prossimità delle persone con cui interagiamo sui social. 

La voce, in questo senso, è il medium primordiale. Racconta la voglia di ritornare alla relazione autentica, priva del filtro che si deposita sulle immagini iper-costruite dei social “classici” (tra l’altro non l’abbiamo detto fino ad ora ma:”Ci era possibile immaginare un social senza immagini?” Io non credo). In una società basata sull’immagine e sul visivo, Clubhouse racconta la necessità di riportare l’esperienza virtuale all’interno di un contesto che sia il più “umano possibile”. Il problema è che comunque siamo umani sì, ok la voce, ma siamo comunque dentro a un cellulare. E questo lascia spazio alla riflessione già accennata, quella dell’alienazione totale. Difficile immaginare questo scenario nel prossimo futuro, specialmente in un tempo in cui le relazioni classiche non sono proprio possibili e la voglia di parlare, confrontarsi e conoscere è davvero tanta, forse troppa.

In questo periodo storico, Clubhouse abbraccia perfettamente un bisogno della società, e cioè quello di socializzare: discutere di temi importanti, ascoltare musica inedita, ma anche solo farsi una chiacchiera.

Ci avrà già stufati? Invecchierà bene? Chi lo sa. Noi, restiamo in ascolto.

 

1390 782 Beatrice Moret

Beatrice Moret

Cresciuta ad Alessandria, trasferita a Torino per l’università, sempre in movimento. Caos calmo, follia in pillole, stories a manetta. Amante dei concerti e ballerina mancata. Metà Italia metà Argentina, il suo motto è “la vita è come un tango. Peccato che io non lo sappia ballare”.

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